Nell’ultimo secolo il mondo delle perle ha subito una radicale evoluzione con l’introduzione della “coltivazione della perla” che ha reso questo settore in una vera e propria industria, quindi non una semplice attività di estrazione o di manifattura: questa rivoluzione è partita dal lontano Giappone grazie al famoso pioniere della coltivazione delle perle, Kokichi Mikimoto, il quale nel 1920 insieme ad altri collaboratori (Tokishi Nishikawa e Tatsuhei Mise) riesce a coltivare con successo i molluschi della varietà Pinctada Fucata.
La perla naturale è quindi (quasi) abbandonata, dando vita alla prima industria mondiale di perle coltivate; tra gli anni ’60 e ’70 è il turno della Pinctada Maxima ad essere coltivato, dando come frutti perle molto più grandi e di qualità superiore. Le perle australiane e tahitiane fanno poi la loro comparsa sul mercato e, nonostante il costo oggettivamente più elevato delle akoya giapponesi, invadono il mercato e spopolano grazie ad oculate operazioni di marketing.
Le akoya vengono così scalzate, per l’eccesso di perle nere che dalla Polinesia si riversano nel mercato senza che il governo del Paese riesca a porvi rimedio. Nel 1996 le cose si aggravano per le pregiate perle giapponesi che subiscono un’ingente perdita a causa di un’epidemia che infetta e uccide 2/3 dei molluschi perliferi. Ma la situazione può andare anche peggio, perchè sulla bilancia del mercato perlifero sbarca anche la Cina.
Se le australiane e le tahitiane sorpassano le giapponesi in pregio, le akoya cinesi le superano di gran lunga in quantità, con una produzione che passa da 5 tonnellate fino ad oltre 20 in soli 7 anni, dal 1993 al 2000: la Cina riesce ad offrire aree climatiche molto simili al territorio giapponese, per questo le farms non si sprecano a fiorire. Ma se si tratta di quantità e non qualità, in quale modo possono concorrere?
Il punto focale è esattamente qui, perchè il Giappone non tarda ad investire in maniera massiccia sui litorali cinesi, prelevando le qualità delle perle cinesi e adattandole agli altissimi standard di qualità nipponici: per questo motivo, secondo gli studiosi del Pearl World International Pearling Journal “una considerevole quantità di fili di perle d’acqua salata esportata dal Giappone sono prodotti in Cina”.
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